Torino 22 marzo 2020,
primo giorno di quarantena stretta

primo giorno di quarantena stretta

“Ogni cosa sfocia prima o poi nel suo contrario”, scriveva Carl Gustav Jung già nel 1917. ”L’atteggiamento razionale dell’uomo civile si ribalta necessariamente nel suo contrario, cioè nell’irrazionale devastazione della civiltà”. Riprendendo una legge psicologia già scoperta nei tempi antichi dal filosofo Eraclito, e cioè la funzione regolatrice dei contrari, Jung ha sviluppato alcune riflessioni che oggi suonano quanto mai attuali. 
Quando l’uomo, a livello individuale come a livello collettivo, manifesta una tendenza troppo unilaterale, cioè concentra un’enorme somma di energia psichica in un solo aspetto, (“l’Io si identifica con una pulsione unilaterale”),ecco che avviene un balzo verso la direzione opposta, che ci costringe a cercare un nuovo equilibrio. Se vogliamo sfuggire al caos, come individui e come società, concludeva Jung un secolo fa, ci tocca trovare una relazione con la complessità della mente inconscia, cercare un equilibrio tra forze razionali e irrazionali.
In questi giorni di quarantena,  metodo antico per contenere la nuova invisibile peste che ci minaccia, non riesco a non pensare alle caratteristiche della civiltà occidentale contemporanea, quelle che ci rendevano orgogliosi, e al loro opposto in cui ora ci troviamo catturati. Il secolo ventunesimo è dominato dalla velocità delle comunicazioni e degli spostamenti, fino a poco tempo fa dal mito di viaggiare senza confini. Dal mito, anche, della opportunità di “crescere” all’infinito. Adesso siamo bloccati e confinati in casa nostra, possiamo comunicare con gli altri solo virtualmente. La produzione è bloccata. Pensavamo che i progressi scientifici e tecnologici rendessero gli uomini sempre più longevi e sani, quasi eterni e onnipotenti. Oggi siamo costretti a guardare da vicino/lontano la morte di tante persone care, dei nostri anziani, vissuta in estrema  e drammatica solitudine. 
Siamo stati dominati, anzi posseduti dal mito dell’efficienza, del fare, abbiamo inseguito in gran fretta obiettivi di successo, e adesso dobbiamo stare fermi, smettere di produrre beni. Non ci siamo curati dei danni che la civiltà produceva nell’ambiente, e adesso  il cielo azzurro e l’aria pulita delle nostre città ferme ci fanno beffardamente assaggiare quanto l’ambiente stia meglio, senza di noi attivi. 
L’individuo ha creduto nella propria autosufficienza, sovente imbastendo relazioni  umane superficiali anche con i propri famigliari,perché mancava e non appariva importante il tempo dell’ascolto, dello stare e del riflettere. Adesso la paura ci mette di fronte al nostro bisogno di conforto e di affetto da chi ci è vicino. 
Tutto quello che sembrava progresso luccicante si è rivelato precario ed è sparito in un attimo,sotto la scure di un virus invisibile e più potente di tutte le nostre illusioni. 
In questa quarantena, nel silenzio di un tempo più vuoto e meno libero, ci troviamo confrontati con la nostra individuale fragilità. Forzatamente interrotte le corse, chiusi in case confortevoli e piene, assaporiamo addirittura il lusso di riflettere su noi stessi e sul significato del nostro vivere.
La limitazione di libertà apre spazi al pensiero e all’immaginazione. Ci ritroviamo, anche, con la necessità di stringerci agli altri per lenire l’angoscia e di trovare soluzioni collettive al dramma che minaccia le nostre vite. Con la riscoperta del senso di responsabilità, con la domanda di significato che si riaffaccia dentro di noi nella dimensione inedita,priva com’è di ogni coatta vorticosità, di queste nostre giornate. 
Con la ricerca di ciò che veramente conta,  l’affacciarsi delle domande su ciò che è essenziale. Nel buio della paura si fanno largo nell’esperienza quotidiana di quarantena sprazzi di luce, di sollievo che stupiscono e confortano. Piccoli gesti di cura, il saluto e il sorriso da uno sconosciuto per strada,un fiore che sboccia sul balcone, la notizia di un bimbo appena nato nonostante i bollettini di morte. Riprendiamo nostro malgrado contatto con la naturalità della finitudine e della morte.
…Nel paradosso dei contrari intravediamo anche novità che trasformano gli orizzonti: il sollievo e la gratitudine dei pazienti durante le sedute online buca lo schermo, come se il bisogno di elaborare e di relazione che cura riuscisse a scaldare la freddezza del mezzo. 
La tecnologia diventa un mezzo che non sostituisce le relazioni, ora lo sappiamo, riuscendo tuttavia ad interrompere solitudini troppo dure da vivere.
Sarebbe cosa preziosa per noi, mi capita di pensare, non perdere questa occasione per ritrovare una rotta di civiltà che sia semplicemente più umana.