Si incontrano a volte romanzi che, per certi versi con maggior puntualità di un saggio di psicologia, ci introducono fin dalle prime pagine ad un mondo di esperienze umane vive e profonde, di sorprendente ricchezza e di valore universale. Incontrato per caso poco prima delle vacanze di fine anno, questo libro che ho letto con grande e crescente piacere narra la storia di un ragazzo, nato agli inizi del 1900 in un piccolo villaggio contadino del Nord della Germania, che possiede un vero talento per la musica.
La storia di questo giovane, che fin da piccolo si sente molto diverso dai coetanei e come tale viene vissuto da loro, eppure conduce a lungo la stessa vita, viene seguita nel corso del tempo e nelle curve del suo svolgersi; soprattutto nei suoi intrecci con la Storia dei drammatici eventi che caratterizzano la prima metà del secolo. Il romanzo, scritto da una giovane scrittrice tedesca in una lingua evocativa, spesso pulsante e densa di metafore e da poco tradotto in italiano, apre ad una serie di interrogativi vivi ed appassionanti, osservando i protagonisti anche in senso corale, da un’angolatura non usuale e sempre con grande partecipazione.
Il talento è qualcosa che di per sé conferisce maggiore senso ad un’esistenza, come può invece accadere che diventi fonte di ossessione e di frustrazione?
Come condiziona le relazioni di quella persona con gli altri e con l’ambiente in cui vive?
Che rapporto ha la forza creativa con altri aspetti dell’intelligenza e come contribuisce al formarsi della personalità, nelle luci come nelle proprie fragilità ?
Ancora, che cosa significa per la vita di un individuo inseguire caparbiamente la realizzazione di un unico sogno, trovando di fronte a sé troppi ostacoli; e che cosa ne è ad un certo punto dell’ esistenza dei desideri irrealizzati che continuano a circolare nella nostra mente?
Solo una breve suggestiva citazione, del momento in cui il giovane protagonista porta a casa il nuovo violino ricevuto in dono:
“Ruven rientra alla fattoria. Quasi non parla più. Rimane per ore sdraiato a letto con il violino accanto. Ne accarezza la vernice, posa il fondo contro l’orecchio e ascolta dentro la cassa di legno. Tu sei così leggero, pensa mentre lo solleva, così innocente. Eppure mi domini completamente. Puoi uccidermi, lo sai. Ma non hai cuore. E ti prendi il mio, la mia vita. Saremo entrambi molto soli”.
“Da qualche parte c’è un briciolo di felicità” ,Svenja Leiber, Rovereto, Keller Editore, 2016