Da quando alcuni decenni fa ho scelto la professione di psicoterapeuta, sovente mi interrogo su che cosa sia davvero di aiuto nella cura dell’umana sofferenza.
A questa domanda se ne intrecciano molte altre.
Quanto tempo della nostra vita concediamo alla relazione con noi stessi? In quel complesso movimento che consente a ogni individuo di trovare un significato e un senso per il proprio cammino esistenziale, esistono aspetti davvero irrinunciabili? Il lavoro di psicologa analista mi ha messo di fronte infinite volte a questi interrogativi.
Nella sofferenza psicologica e nella difficoltà di un individuo a trovare le parole per raccontarla facciamo conoscenza con un’identità sospesa e un tempo di vita inautentico.
Un’ ipotesi muove questo testo: nel percorso per liberare l’energia psichica dai vincoli che i traumi individuali e il peso condizionante del collettivo hanno plasmato intorno alla singolarità di ciascuno, la relazione di ogni individuo con il tempo sembra assumere un ruolo centrale.
Mi sembra trattarsi di un punto di vista focale per comprendere tanto i movimenti della psiche individuale quanto quelli della dimensione collettiva.
Fermiamo lo sguardo sul tempo collettivo. Spesso ci si sofferma su una peculiare fragilità dell’Io, che rende più arduo ai pazienti contemporanei l’accesso a una psicoterapia che non miri al semplice adattamento, ma alla trasformazione dell’atteggiamento esistenziale.
Raramente ci si inoltra però a indagare su quanto e in che modo la profondità plasmante dello Spirito del tempo, cioè di quell’insieme di credenze collettivamente dominanti in una determinata epoca storica, capaci di influenzare potentemente le coscienze, agisca come fattore lacerante all’interno della psiche individuale.
Viene vissuto a livello inconscio, ma proprio per questo molto dolorosamente.
Questa “profondità plasmante” ha assunto nell’epoca attuale un potere più che mai paralizzante: è per questo motivo che molti individui sono affetti da una sofferenza cieca che fatica a trasformarsi in parola che risana?
Viviamo nel tempo del fare, della velocità, dell’efficienza, del consumo come valore principe. Ci muoviamo in un tempo atomizzato che mira a risolvere ed esaurire nel qui e ora ogni piacere e ogni desiderio, quando non ogni progetto.
Da anni viviamo immersi nel miraggio di una crescita economica infinita, di una giovinezza infinita, di una salute senza limiti. Difficile negare che, sotto l’illusione di una libertà individuale sganciata da vincoli etici e tendente all’onnipotenza, questo aspetto dominante dello spirito del tempo nel mondo contemporaneo celi una negazione della fragilità e del limite umano, così come una sottovalutazione del sentimento, che informano di sè le umane relazioni. Non si tratta di ipotesi peregrina, ma di osservazione quotidiana che modalità esistenziali così fondate, oggi tanto diffuse quanto coattive, siano alla base di molte sofferenze individuali e contribuiscano alla costruzione di patologie.
(…..)Se la relazione terapeutica è una relazione umana intima che si sviluppa nel tempo del vivere dei due protagonisi, indagandone struttura ed evoluzione potremo abbozzare una risposta alla domanda: esiste ed è raggiungibile un punto tra la percezione del tempo individuale e di quello collettivo, che rappresenti e dia forma a un più consapevole equilibrio psichico?
(…..)Ci chiederemo infine se dal conflitto con un tempo collettivo che si dipana in modo così radicalmente opposto ad alcuni bisogni umani essenziali possa esistere una via d’uscita stabile, o unicamente una possibilità di alleggerimento.
Paola Terrile, 21 aprile 2021